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Le elezioni in Calabria

Il governo post-fascista della Meloni con una mano elargisce continuamente regalie al grande padronato – proiettandosi ad essere la nuova DC regionale – mentre con l’altra comprime i diritti ed è complice di licenziamenti e morti sul lavoro (ormai sempre più precario).

Anche l’aspettativa sulla pensione è messa in discussione. Qualsiasi governo, che sia di centro-destra o di centro-sinistra, utilizza i pensionati come un vero e proprio “conto corrente” da cui prelevare in caso di bisogno. Così i lavoratori e le lavoratrici di una vita sono costretti a pagare per tutti, mentre i ricchi sono sempre più ricchi. Basta dare un’occhiata alle notizie più recenti per rendersene conto. Secondo un rapporto Oxfam pubblicato a gennaio 2024, i dieci uomini più ricchi del mondo hanno raddoppiato la propria ricchezza durante la pandemia, mentre il 99% dell’umanità ha visto il proprio reddito diminuire.

La politica sovranista della Meloni non è altro che la tutela della grande borghesia e della sua lobby armata (vedere il sostegno militare ad Israele) condita da un linguaggio per nostalgici del ventennio fascista. La sua politica impone un’austerità perpetua che comporta da un lato lo smantellamento (con annessa autonomia differenziata) di quel poco di welfare che era rimasto in questo paese, dall’altro sempre più privilegi per il grande capitale.

In questo quadro drammatico e reazionario, le elezioni regionali calabresi hanno lasciato un prezioso insegnamento: il popolo della sinistra, potenzialmente anticapitalista, non si sente rappresentato dal centro-sinistra. Il popolo della sinistra, come ha mostrato in questi giorni per la solidarietà alla Palestina, può rialzare la testa se si cambia direzione. Le piazze dicono altro rispetto alle urne: non si può mettere insieme la “sinistra per Israele” con la sinistra pro-Palestina. Fratoianni dovrebbe saperlo – citando il suo mentore Bertinotti – che “patate e carote non si sommano” (anche se poi, in realtà, Bertinotti le ha sommate). Ora la questione politica è chiara e dovrebbe esserlo a tutti. La differenza non sta tra centro-destra e centro-sinistra perché proprio le loro colazioni, in questi anni, hanno sostenuto e votato precariato, missioni militari, autonomia differenziata, rimozione dell’art. 18 ecc., bensì tra la classe operaia e gli uomini della borghesia. Punto.

Quello della Calabria non è stato solo un voto simbolico ma anzi ha rappresentato il senso pratico, reale degli sfruttati che non si sentono rappresentanti dal centro-sinistra liberale.
Il sentimento popolare, quello delle manifestazioni di questi giorni, è la via da cui ripartire. Non si può lasciar sfuggire questo sentimento di classe o peggio ancora imprigionarlo, come sempre fatto in passato, in logiche riformiste.

Il FIT è la scelta politica alternativa

A questa tornata elettorale l’estrema sinistra era assente (causa la propria atrofizzazione settaria) e così ha irresponsabilmente lasciato la classe operaia senza una proposta programmatica, anticapitalista.
Tutte le forze che si richiamano al marxismo rivoluzionario dovrebbero impegnare il proprio tempo e il corpo del proprio partito (compresi i dirigenti) in una discussione costante e seria tra loro, incentrata sul “Che fare?”.

Negli ultimi anni abbiamo assistito, invece, al processo involutivo di quasi tutte le organizzazioni “comuniste”, il cui unico scopo è stato quello di mantenere la propria gestione organizzativa e curare il proprio orticello senza avere il coraggio di proporre qualcosa di concreto per la classe operaia.

Bisogna fare come in Argentina! Creare una federazione di organizzazioni rivoluzionarie diverse tra loro ma accomunate dagli stessi intenti e declinazioni rivoluzionarie (attenzione, rivoluzionari, non riformisti).
In questa fase di difficoltà per il mondo del lavoro, per gli ultimi, la fase di rilancio e costruzione di una proposta anticapitalista dev’essere affidata ad un lavoro utile e paziente: il FIT, federazione delle forze marxiste rivoluzionarie (unica opzione valida e non sconfitta dalla storia), va costruito anche Italia. Dobbiamo essere capaci di rianimare il dibattito e far uscire dalla proprie idiosincrasie i gruppi dirigenti che si definiscono marxisti rivoluzionari.

Ora che la coscienza di classe è viva, stimolando la base e inchiodando i dirigenti alle proprie responsabilità, dobbiamo proporre un’opzione marxista-rivoluzionaria in questo paese. Raccogliere, rafforzare ed estendere questa proposta, anche attraverso una valorizzazione sincera, potrebbe aprire un processo di dibattito nel movimento marxista-rivoluzionario.
La sinistra marxista-rivoluzionaria è incapace di fare fronte alla crisi verticale che l’attraversa e sta desertificando tutto, al di là di qualche ricambio generazionale.

Oggi, le singole forze, da sole, sono solo testimonianza. Stiamo assistendo ad un processo di frammentazione delle forze e dei militanti dell’estrema sinistra interna ai gruppi dirigenti tradizionali, frammentazione che nel tempo creerà (come alcune forze hanno già vissuto) ulteriori lacerazioni.

Ora più che mai abbiamo la necessità politica di avanzare verso il FIT italiano, una riflessione importante non solo ai fini del processo costruttivo di un progetto possibile e funzionale ma anche per dare gambe ai reali e vivi sentimenti rivoluzionari nutriti dai giovani, concretizzando il tutto in unica forza federativa (nessuno chiede a nessuno di sciogliersi, sarebbe troppo, senza sintesi tra una sinistra generica o questurini alla De Magistris). Dobbiamo dire loro la verità: nessuna rivoluzione in questo continente è imminente. Ma noi rivoluzionari possiamo (dobbiamo!) utilizzare queste forze militanti, scongelandole da stagnazione e false illusioni, dirigendole verso l’unico obiettivo che dovrebbe stare a cuore a ogni comunista: una proposta di classe rivoluzionaria.
Solo lo spirito di costruzione, la prospettiva della nascita di una forza rivoluzionaria e di classe potranno farci tornare lungo la strada della rivoluzione.

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