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USA: “Qui non può succedere”

Un populista viene eletto alla Casa Bianca e lancia una politica muscolare ed aggressiva promettendo di ridare al popolo statunitense la grandezza che gli spetta.  Prospetta ai cittadini che farà piazza pulita di migranti e burocrati, si circonda di fedelissimi e fa gestire la politica interna Usa a grandi uomini d’affari, spinge l’esercito speciale per sedare le proteste. Sembra pura ucronia ma il romanzo scritto nel 1936 di Sinclair dal titolo “Qui non può succedere”, oggi, con Trump, è drammatica realtà.

Per porre fine a questa vile fuga dei bugiardi controrivoluzionari il governo quadruplicò le guardie che fermavano i sospetti in ogni porto…riversò le truppe d’assalto di M.M. in tutti gli aeroporti privati o pubblici, e in tutte le fabbriche di aeroplani, e così, si sperava, chiuse le rotte aeree ai traditori” 1

La politica ecomica USA e Trump

Secondo Moody’s Analytics, l’economia statunitense “sembra aver perso parte della sua forza” negli ultimi anni.2 Le vendite al dettaglio e la produzione manifatturiera sono calate, mentre la crescita dei posti di lavoro è in ristagno, ma tutto ciò non ha modificato l’andamento generale dell’economia e delle relative forbici: ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. La borghesia che intasca un reddito di almeno 250.000 dollari all’anno ha prodotto quasi il 50% di tutte le spese, un dato eccezionale secondo il recente rapporto di Moody’s Analytics.

Nonostante l’inflazione, la crisi sociale e l’aumento della povertà, i ricchi continuano a spendere tranquillamente in beni di lusso e vacanze. Un liberismo senza freni nel pieno delle sue contraddizioni. Tra il settembre 2023 e il settembre 2024, le persone dotate di un reddito elevato hanno incrementato le loro spese del 12%, mentre la “working class” ha diminuito in modo verticale la propria spesa. Moody’s definisce questo mood “effetto ricchezza”. Tutto questo è solo un piccolo indicatore di quale sia la base di riferimento di Trump: i privilegi della borghesia a stelle e strisce, da tutelare e rafforzare.

Non tutti, anche nel panorama economista statunitense, vedono la politica economica in perfetta forma. “Un’eccessiva dipendenza dai consumatori ad alto reddito può portare a problemi se le politiche economiche o le condizioni di mercato alterano significativamente il loro comportamento di spesa”, ha dichiarato a Fortune Peter C. Earle, economista senior dell’American Institute for Economic Research. Quindi, se la “upper class” USA dovesse diminuire significativamente la propria spesa opzionale, probabilmente traslerebbe il proprio denaro in risparmi, investimenti, iniziative imprenditoriali o espansione aziendale, che contribuiscono comunque alla crescita economica, ha affermato Earle. Ma questo sarebbe un duro colpo, nel breve periodo, per l’economia dei beni di consumo, soprattutto per i beni di lusso, la vendita al dettaglio di fascia alta, i viaggi e l’intrattenimento, ha aggiunto.

La prosperità a lungo termine si basa sul risparmio, sugli investimenti e sull’aumento della produttività, nessuno dei quali diminuisce necessariamente quando gli individui ricchi risparmiano di più invece di spendere”, ha affermato Earle. Il problema di affidarsi ai ricchi crea anche un problema nei consumi. “In parole povere, se si danno 1.000 dollari a una famiglia a basso reddito, è probabile che li spenda quasi tutti, se non tutti, mentre una famiglia a reddito più elevato è probabile che ne spenda solo una parte e risparmi il resto”.  

Ma nonostante le anomalie naturali del capitalismo, l’economia USA rimane ancora la più potente del globo: solo nel 2023 il prodotto interno lordo degli USA ha registrato un +2,5% rispetto all’anno precedente. Nel 2022 la crescita è stata pari al +1,9%, nel 2021 +5,8%, a seguito della diminuzione registrata nel 2020, l’anno della pandemia. Del resto, gli Stati Uniti hanno risposto alla crisi economica indotta dal Covid con uno stanziamento di risorse pubbliche senza eguali e di gran lunga maggiore rispetto alle risorse messe in campo dai paesi europei. Si stima che gli aiuti a famiglie e imprese negli USA abbiano superato i 5.000 miliardi di dollari, con impatti evidenti sulla ripresa dei consumi interni e degli investimenti. Inoltre, stando alla World Bank, nel 2023 gli Stati Uniti hanno registrato un PIL di oltre 27.000 miliardi di dollari, rispetto ai circa 18.000 della Cina, ai circa 4.500 della Germania, ai circa 4.200 del Giappone, ai circa 3.600 dell’India, ai circa 3.300 del Regno Unito, ai 3.000 della Francia e ai 2.200 circa dell’Italia.

Al momento gli Stati Uniti, da soli, rappresentano oltre il 25% dell’economia del pianeta. Chiaramente l’ascesa della Cina, lo sgomitare della Russia e l’imprevista accelerazione dell’imperialismo Europeo ridisegna nuovi scenari e sfere d’influenza, ma è proprio in virtù di questo che Trump mette in moto la sua politica muscolare. Non per nulla il prezzo economico e soprattutto politico che l’amministrazione Trump deve fronteggiare costa non poco al paese e agli strati subalterni. I programmi e le direttive sono gestite in maniera burocratica e scoordinata, avendo un effetto di rimbalzo negativo per lo stesso Trump (vedere la gestione interna di Musk rispetto ad alcuni rami della pubblica amministrazione).

Contestualmente a tale condizione fluida interna i rapporti della “politica” negli USA sembrano mutare e declinare precipitosamente verso nuovi scenari neofascisti e post-fascisti: lo sdoganamento del fascismo ora non solo è un dato di fatto ma si qualifica il fascismo come un “percorso” da cui prendere qualcosa, e non solo per il saluto romano. Questo aiuta Trump ad accendere i riflettori su di sé e la sua politica, distraendo la popolazione e la classe operaia USA. Una politica, insomma, arrogante e spudorata quella del leader repubblicano, che ha avuto il suo culmine nell’incontro del 28 febbraio scorso con il Volodymyr Zelensky. Trump si affida programmaticamente al proprio carisma, alla sua – del tutto personale – convinzione di avere una sorta di consenso plebiscitario facendo un ampio uso degli strumenti mediatici a disposizione. Abbiamo tutti noi sotto gli occhi la sceneggiata messa in campo da Trump e dal suo entourage; tutti noi siamo consapevoli che la diplomazia non si fa via cavo ma nelle stanze della politica. Trump e il suo vice sembravano attori pronti a recitare la loro parte in un processo coinvolgente, con attenzione ai dettagli ed una comprensione profonda del momento politico.

L’utilità di tale prova attoriale aveva due obiettivi. Il primo: ridimensionare Zelensky e l’Ucraina (più volte ha attaccato Zelensky) poiché l’elettorato e il repubblicano medio (circa l’83%) individuano in Putin il vero responsabile del conflitto; dunque colpendo Zelensky, Trump aveva come obiettivo quello di guadagnare consenso tra i “suoi” in termini di politica estera.

Secondo obiettivo: riscrivere la politica d’interessi imperialisti USA. Il conflitto reale non tra USA e Russia (i teorici alla lotta comunista hanno completamente cassato questa fase, come quasi tutte), il concetto di “guerra per procura”, sono un’astrazione politica opportunista. In questo caso, Trump vede con maggior facilità il poter raggiungere i propri obiettivi non sostenendo l’indipedenza dell’Ucraina ma la spartizione di essa con il suo possibile nuovo alleato imperialista del momento, la Russia di Putin. Così si passa dal conflitto interimperialista USA-Russia alla convergenza possibile tra i due imperialismi con la stessa velocità con cui Bendetto Della Vedova cambia partito.

Questa situazione è la rappresentazione plastica del nuovo scenario mondiale. Un iper reazionario come Trump si poggia sulla politica di un altro politico di destra come Putin. Entrambi in modo viscido spingono l’Ucraina e la sua gente a sottomettersi e consegnare il 20% del loro territorio alla Russia e le sue risorse minerarie ed energetiche ai due imperialismi. Tutto questo mentre il vetero pensiero stalinista del campismo progressista (chiunque di oppone all’imperialismo USA è di per se progressista e progressivo; dunque: Russia, Cina, Iran ecc.) si scioglie come neve al sole. Assistiamo dal movimento ML e opportunisti di ogni sorta a veri e propri free climbing teorici sugli specchi. Gli Stati Uniti vogliono essere protagonisti di questo nuovo scenario, vogliono scaricare l’Ucraina da un lato e dall’altro avere potere negoziale con la Russia di Putin. Non a caso Trump intima dazi a destra e manca sino a che non si apre un reale tavolo della pace.

Il cambio di rotta – dal sostegno all’Ucraina ad arbitro del conflitto – da parte dell’amministrazione americana ha prodotto un’evoluzione politica da parte dell’Imperialismo Europeo, scaricato da Trump. L’Europa, per non perdere terreno e potere negoziale nella spartizione dell’Ucraina e nel suo processo di ricostruzione, è corsa ai ripari armandosi. Così le spese per l’armamento europeo, secondo le direttive della Von der Leyen, verranno scorporate dal deficit e si potrà spendere in riarmo circa l’1,5% del PIL. Inizia insomma una nuova fase politica, aperta a scenari multipli.

La risposta della classe operia e delle avanguardie internazionali

Da marxisti rivoluzionari, sgomberato il campo da analisi sbagliate, come il conflitto inter-imparialista tra Russia e Ucraina (oggi, domani vedremo i nuovi scenari) siamo dalla parte della resistenza Ucraina e non dalla parte di Zelensky così come eravamo dalla parte della resistenza afghana contro gli invasori NATO senza sostenere un’unghia della politica Talebani, così come abbiamo sostenuto come trotskysti la resistenza dell’Irlanda del Nord contro l’occupazione britannica nonostante la resistenza irlandese prendesse armi dai nazisti; questo non faceva della lotta di resistenza irlandese una lotta meno giusta, così com’era giusta la lotta del primo conflitto Cino-Giapponese del Kuomitang cinese armato dall’imperialismo tedesco e francese contro l’invasore imperialista Giapponese. Ove vi è un’invasione di uno stato semi-coloniale è giusto sostenere il diritto di autodeterminazione, come ci insegna Lenin.

La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodecisione

“(…) Il socialismo vittorioso deve necessariamente instaurare la completa democrazia e, quindi, non deve attuare soltanto l’assoluta eguaglianza dei diritti delle nazioni, ma anche riconoscere il diritto di autodecisione delle nazioni oppresse, cioè il diritto alla libera separazione politica. Quei partiti socialisti i quali non dimostrassero mediante tutta la loro attività – sia oggi, sia nel periodo della rivoluzione, sia dopo la vittoria della rivoluzione – che essi liberano le nazioni asservite e basano il loro atteggiamento verso di esse sulla libera unione – e la libera unione non è che una frase menzognera senza la libertà di separazione- tali partiti tradirebbero il socialismo.” Lenin, 1916

Tutto questo senza sostenere minimante l’Imperialismo nostrano né quello Europeo, la lotta contro l’imperialismo di casa nostra è la nostra stella polare, altra cosa è dire che il popolo ucraino (non Zelensky) abbia il diritto di procurarsi le armi dove vuole.  Chiaramente in questo scenario manca l’attore principale, l’attore che noi vorremmo scendesse in campo, ovvero la classe operaia.

La classe operaia e il mondo del lavoro può avere voce in capitolo se si organizza libera la sua forza politica, ovvero in una nuova internazionale.

In questo contesto internazionale la lotta è una lotta per la ricostruzione della Quarta Internazionale, una costruzione di un’internazionale di massa può avvenire solo fuori da ogni logica settaria. Questo significa contrastare in primis qualsiasi concezione ristretta e autoprocalmatoria. Dobbiamo, se così possiamo dire, sporcarci le mani e farci carico di tutte le sconfitte che il movimento trotskista ha subito partendo dal nostro percorso, storia e rilanciando come corrente (noi come UIT) il progetto della Quarta Internazionale. Dobbiamo rispolverare il metodo di Trotsky, del “blocco dei quattro”, del raggruppamento. Dobbiamo respingere la logica, estranea al movimento trotskista, dell’attesa, la logica del “qualcuno costruirà per noi”. Noi siamo trotskisti leninisti, quindi crediamo nel partito e nel dibattito politico.

Il problema della Quarta Internazionale non è così semplice e di facile soluzione, non basta mettere il timbro col nome “Quarta”. Il problema della Nuova Internazionale è un compito storico da svolgere, da sviluppare e rilanciare. Deve avere un’unità di principi, di programma e soprattutto avere nel suo DNA il centralismo democratico.

La volontà da parte di Trotsky di fondare la Quarta Internazionale non è stata suggerita da una convinzione astratta o da una sorta di volontà autoreferenziale, bensì è stata suggerita dall’idea che era necessario dare una risposta programmatica alla lotta di classe internazionale contro il tradimento dello stalinismo. Questo è l’insegnamento di Trotsky: costruire e ricostruire qualora ve ne fosse bisogno. Trotsky lanciò l’appello per la Quarta internazionale anche a organizzazioni centriste, per conquistare queste organizzazioni al programma rivoluzionario. Fare oggi l’analisi del sangue alle organizzazioni marxiste rivoluzionarie per dipingerle come “conseguenti” (ortodosse) o meno, sulla base di avvenimenti di trent’anni fa o più, è semplicemente assurdo e non trova riscontro nei fatti odierni. Noi difendiamo con grande forza i principi della Quarta Internazionale (i primi quattro Congressi dell’IC e i primi due della IV Internazionale) e lottiamo per rilanciare il medesimo progetto proprio perché questo progetto rappresenta l’unico strumento possibile per il superamento del sistema capitalistico.

Infine non sosteniamo che la nuova internazionale si debba formare sulla base di un presunto o reale ascendente storico (morensimo, lambertismo, grantismo ecc).3 Questa modalità serve solamente a congelare (dietro giustificazioni para-ideologiche) la soggettività del partito, per non fare un passo in avanti. Noi non vogliamo attendere giorni migliori, non vogliamo e non possiamo aspettare. Dal dibattito degli ultimi anni sino alla risoluzione dell’ultima conferenza internazionale abbiamo detto e scritto chiaramente che questa nuova Internazionale sorgerà sulla base del centralismo democratico e delle diverse correnti del movimento operaio in stretta connessione con l’unità di intenti. La crescita e lo sviluppo delle organizzazioni che avevano dato vita alla Quarta Internazionale, come abbiamo visto senza nessun pregiudizio ideologico, è un percorso oggi ancora valido. Noi difendiamo questa idea e lottiamo come corrente proprio perché pensiamo che questo metodo rappresenta uno strumento insostituibile per ricostruire della Quarta internazionale

Note
  1. Qui non può succedere,  Sinclair Lewis ↩︎
  2. https://www.fortuneita.com/2025/03/01/usa-leconomia-dei-beni-di-consumo-e-ostaggio-dei-ricchi/ ↩︎
  3. Ci riferiamo al PCL che nel N. 20 di Marxismo Rivoluzionario, datato novembre del 2023, riportava il documento votato dalla maggioranza in cui la LIS si definiva “un’accentuata spregiudicatezza opportunistica”, “politica revisionista”, “un’organizzazione revisionista di tipo centrista”. Diciamo subito che condividiamo questa analisi. Ma com’è possibile che il PCL dopo poche settimane abbia cambiato posizione sulla LIS? Cos’è successo affinché oggi la LIS venga definita come la migliore organizzazione rivoluzionaria? La risposta è semplice quanto banale: il PCL procede nelle sue valutazioni non sulla base di giudizi programmatici ma di discriminanti di arredamento ideologico. Mi spiego meglio. Se qualcuno ha in casa il quadro di Moreno è di per sé revisionista, indipendentemente da che politica assuma a livello internazionale (vedere Turchia) e/o elettoralmente (come è proprio il caso del MST, principale forza della LIS, che per anni ha assunto una posizioni revisionista e settaria nei confronti del FIT Argentino). Ma i compagni della LIS hanno il merito formale di aver preso le distanze da Moreno. Insomma, per il PCL non conta l’unità d’intenti ma l’arredamento delle sedi. Solo una maggioranza investista dal dono divino dell’infallibilità può scrivere e far votare un documento congressuale e dopo poche settimane cambiare giudizio politico senza il mutare degli gli eventi che ne abbiamo determinato le cause. Le cose sono due: o sbagliavano prima o sbagliano adesso, ma in entrambi i casi sbagliano metodo. ↩︎

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